Test di medicina e numero chiuso: riflessione sulle nuove modalità di selezione universitaria

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Negli ultimi giorni il tema dei test di accesso ai corsi di medicina è tornato al centro dell’attenzione, soprattutto dopo le prime applicazioni concrete delle nuove modalità di selezione introdotte dal recente cambiamento normativo. Online si discute molto dei quiz, delle prove sostenute dagli studenti e, più in generale, del senso stesso del numero chiuso all’università, un meccanismo che da anni divide opinione pubblica, studenti e docenti.

Il superamento del classico test a crocette, per come è stato conosciuto fino a poco tempo fa, ha rappresentato una svolta importante. L’idea alla base della riforma è quella di consentire l’iscrizione iniziale al corso di laurea a un numero più ampio di studenti, rinviando la selezione vera e propria a una fase successiva, dopo un primo periodo di studio universitario. In questo nuovo assetto, la valutazione avviene attraverso esami sulle materie di base, come chimica, biologia e fisica, considerate fondamentali per affrontare il percorso medico.

Questa scelta ha modificato la forma della selezione, ma non la sua sostanza. Il numero chiuso resta, perché i posti disponibili continuano a essere limitati e l’accesso agli anni successivi dipende da una graduatoria. Cambia però il momento in cui lo studente viene messo alla prova. Non più un singolo test iniziale, spesso preparato per mesi con logiche molto specifiche, ma un semestre intenso in cui si è valutati sul rendimento accademico reale. Per alcuni questo approccio appare più coerente con l’idea di università come luogo di formazione, per altri rischia di spostare semplicemente la pressione senza ridurla.

Le prime esperienze di questi giorni mostrano come il nuovo sistema non sia privo di criticità. Il livello delle prove è percepito come elevato e la selezione resta molto severa. Studiare sapendo che ogni esame può determinare l’esclusione dal corso genera una forte tensione, soprattutto nei primi mesi di università, quando molti studenti sono ancora in fase di adattamento. Allo stesso tempo, le università si trovano a gestire numeri molto alti di iscritti nelle fasi iniziali, con tutte le difficoltà organizzative che questo comporta.

Una curiosità che emerge spesso nelle discussioni online è che, nonostante l’abolizione del test tradizionale, molti studenti continuano a prepararsi con una mentalità simile a quella dei quiz, cercando scorciatoie e strategie più che una comprensione profonda delle materie. Questo dimostra come il problema non sia solo lo strumento di selezione, ma anche il modo in cui viene percepito l’accesso a una facoltà considerata da sempre molto competitiva.

La riflessione sul numero chiuso va quindi oltre il singolo test. Si intreccia con il tema dell’orientamento scolastico, della preparazione di base e delle aspettative che si creano attorno a professioni come quella medica. Consentire a più studenti di mettersi alla prova può essere positivo, ma senza adeguati strumenti di supporto il rischio è quello di trasformare il primo semestre in una sorta di selezione silenziosa, fatta di stress e rinunce.

Forse il punto centrale non è stabilire se il test sia giusto o sbagliato, ma chiedersi quale tipo di selezione sia davvero utile per formare professionisti competenti e motivati. Un sistema che valorizzi lo studio, la costanza e la capacità di affrontare un percorso lungo e impegnativo potrebbe essere più efficace di una prova unica, ma richiede organizzazione, chiarezza e una comunicazione trasparente verso gli studenti. In questo senso, le modalità attuali rappresentano un esperimento importante, che andrà valutato nel tempo, ascoltando non solo i risultati numerici, ma anche le esperienze di chi lo vive in prima persona.

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