Quando l’IA “vede” cose che non esistono: le allucinazioni artificiali

Parlare di allucinazioni in un’intelligenza artificiale significa riferirsi a risposte o contenuti che sembrano plausibili ma che in realtà sono completamente inventati o inaccurati. A differenza dell’allucinazione umana, che riguarda percezioni sensoriali senza stimolo reale, quella dell’IA è un errore computazionale: l’algoritmo “compone” informazioni anche quando non ha dati validi.
Questi errori affondano le radici nella natura stessa dei modelli generativi basati su apprendimento statistico. I modelli sono “addestrati” per prevedere la parola successiva dato un contesto, e quando vengono messi davanti a domande o scenari non ben rappresentati nei dati di addestramento, tendono a inventare risposte che appaiono coerenti. Inoltre, le tecniche usate per decidere quale parola generare (es. sampling a top-k, penalizzazioni, massimizzazione di probabilità) possono introdurre errori sistematici o amplificare deviazioni.
Le fonti dei dati non sono perfette: sono piene di rumore, errori, bias e dati contraddittori. Il modello impara dai dati che ha a disposizione, e se quei dati contengono errori o omissioni, l’IA può rifletterli o “colmare i vuoti” creando affermazioni false. In ambiti dove l’accuratezza è cruciale — come la medicina, il diritto o le finanze — un’IA che allucina rischia di causare danni reali se le sue risposte non vengono verificate da un esperto umano.
Per limitare questo fenomeno, gli esperti propongono varie strategie: far sì che il modello si basi su dati esterni affidabili (cioè collegandosi a un database o a documenti verificati), introdurre controlli interni di coerenza che confrontino le affermazioni generate, insegnare al modello a dichiarare “non lo so” quando è in dubbio, e inserire un loop di feedback umano per confermare o correggere le risposte.
Ma c’è una visione più radicale: alcuni ricercatori sostengono che le allucinazioni non siano solo difetti da eliminare, ma caratteristiche inevitabili dell’intelligenza artificiale che opera in un ambiente aperto e in costante evoluzione. In un mondo dove non è possibile conoscere tutto, l’IA deve generalizzare da ciò che ha imparato verso nuovi domini, e in quella generalizzazione può “sbagliare”. In questo senso, piuttosto che aspirare a un’IA completamente “senza errori”, il vero obiettivo potrebbe essere sviluppare modelli che sappiano riconoscere le proprie incertezze, segnalare i rischi e lavorare in collaborazione con l’umano.
Con i progressi recenti, alcuni studi hanno iniziato a prevedere quando un modello rischia di allucinare, intervenendo preventivamente per avvertire l’utente o cambiare strategia. Questo tipo di ricerca è cruciale per rendere l’IA più affidabile nel mondo reale. Se vogliamo fidarci delle sue risposte, non basta renderla più “intelligente”: serve renderla più consapevole dei propri limiti.
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