Pesticidi vietati in Italia e nell’Unione europea: cosa significa davvero e come orientarsi

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Quando si parla di “pesticidi vietati” in Italia, in realtà si sta quasi sempre parlando di divieti decisi a livello europeo e poi applicati anche nel nostro Paese. Il motivo è semplice: le regole base sull’autorizzazione delle sostanze attive e dei prodotti fitosanitari sono fissate dall’Unione europea, soprattutto con il regolamento che disciplina l’immissione in commercio e l’uso dei prodotti per la protezione delle piante. In pratica una sostanza può uscire dal mercato perché non viene approvata o non viene rinnovata, perché emergono nuovi dubbi su salute e ambiente, oppure perché i criteri di valutazione si fanno più severi nel tempo. Da qui nasce una prima curiosità che spesso sorprende: molte sostanze non spariscono da un giorno all’altro per una singola notizia eclatante, ma perché, alla prova di regole più stringenti o di dati più aggiornati, non riescono più a soddisfare i requisiti richiesti.

A livello concreto, tra gli esempi più citati online ci sono sostanze che per anni sono state molto diffuse e che oggi non risultano più autorizzate nell’Unione europea. L’atrazina, per esempio, è un caso storico: la sua esclusione dagli elenchi europei ha portato al ritiro delle autorizzazioni, ed è rimasta nell’immaginario collettivo come simbolo di un’epoca in cui l’attenzione alla contaminazione delle acque era meno centrale di oggi. Un esempio più recente è quello di chlorpyrifos e chlorpyrifos-methyl, insetticidi per i quali l’Unione europea ha deciso di non rinnovare l’approvazione, con la conseguente uscita dal perimetro dei prodotti utilizzabili in agricoltura. C’è poi il caso del paraquat, noto per le vicende che hanno portato alla sua esclusione dal mercato europeo già diversi anni fa, e che ancora oggi viene spesso ricordato quando si discute di tossicità e gestione del rischio. Anche sul fronte degli impollinatori, molte persone associano il tema ai neonicotinoidi: per alcune sostanze di questa famiglia sono state introdotte restrizioni molto forti sugli usi all’aperto, lasciando spazio solo a impieghi limitati e controllati.

Un capitolo a parte riguarda i pesticidi che rientrano nei cosiddetti inquinanti organici persistenti. Qui non si parla solo di agricoltura moderna, ma anche di sostanze storiche come il DDT e altre della stessa famiglia, che resistono a lungo nell’ambiente e tendono ad accumularsi lungo la catena alimentare. È un tema che aiuta a capire perché, quando una sostanza viene messa al bando, l’obiettivo non è soltanto ridurre un rischio immediato, ma anche evitare effetti che possono protrarsi per anni e incidere su ecosistemi e salute.

Dal punto di vista pratico, vale la pena chiarire un altro aspetto: “vietato” non significa automaticamente “inesistente”. In un mercato ampio come quello europeo può capitare di imbattersi in vecchie giacenze, prodotti importati in modo irregolare o usi impropri in ambito non professionale. In Italia esistono strumenti informativi che permettono di verificare quali prodotti fitosanitari sono effettivamente autorizzati e quali no, ed è utile farvi riferimento per orientarsi tra aggiornamenti e cambiamenti frequenti. Un consiglio semplice è non fermarsi al nome commerciale: spesso cambiano i marchi e i formulati, ma è la sostanza attiva a determinare se un prodotto è davvero consentito o meno.

Infine c’è una domanda molto comune: se una sostanza è vietata, cosa succede ai residui negli alimenti? Il quadro normativo europeo distingue tra l’autorizzazione all’uso agricolo e i limiti massimi di residui ammessi negli alimenti, che vengono aggiornati nel tempo. Per chi acquista, la parte più concreta resta legata alle abitudini quotidiane. Lavare bene frutta e verdura, variare l’alimentazione, preferire filiere chiare e, nel caso di orti e giardini, valutare metodi alternativi e interventi mirati invece di trattamenti automatici sono scelte pratiche e sensate. In generale, diffidare di prodotti senza etichette chiare, istruzioni in italiano o venduti attraverso canali poco trasparenti è una regola prudente: spesso il problema non è solo la sostanza in sé, ma l’assenza di controlli e tracciabilità, che è proprio ciò che le normative europee e nazionali cercano di evitare.

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