Pentesting: come funzionano i test di sicurezza che simulano gli attacchi informatici

Nel mondo della sicurezza informatica si sente sempre più spesso parlare di pentesting, termine che deriva da penetration testing e che indica una pratica ormai centrale nella protezione di sistemi digitali. Si tratta di un’attività in cui viene simulato un attacco informatico controllato contro un sistema, una rete o un’applicazione, con lo scopo di individuare punti deboli prima che possano essere sfruttati da soggetti esterni con intenzioni dannose. L’idea di fondo è semplice ma efficace: meglio scoprire una falla quando si è ancora in tempo per correggerla, piuttosto che subirne le conseguenze in un contesto reale.
Il pentesting viene svolto da professionisti autorizzati, spesso chiamati pen tester, che utilizzano tecniche molto simili a quelle impiegate dagli hacker. La differenza sostanziale sta nelle finalità, perché in questo caso l’obiettivo non è causare danni o sottrarre dati, ma comprendere fino a che punto un sistema sia realmente esposto. Questo approccio rende il test particolarmente utile, perché consente di osservare il comportamento dell’infrastruttura sotto attacco e di valutare non solo se esiste una vulnerabilità, ma anche quanto sia sfruttabile nella pratica.
A differenza delle scansioni automatiche, che si limitano a segnalare possibili problemi sulla base di database di vulnerabilità note, il pentesting va oltre la teoria. I difetti individuati vengono messi alla prova, simulando scenari di attacco realistici, così da capire se una falla può davvero portare a un accesso non autorizzato o a una compromissione più ampia. Questa distinzione è importante perché non tutte le vulnerabilità hanno lo stesso impatto e, senza una verifica pratica, si rischia di sopravvalutare o sottovalutare il rischio reale.
Negli ultimi tempi, online ha fatto discutere anche uno studio condotto in ambito universitario secondo cui un sistema di intelligenza artificiale sarebbe riuscito a svolgere attività di pentesting in modo più efficace rispetto a molti professionisti umani, almeno in un esercizio condotto su una rete di test. Secondo quanto emerso, il sistema avrebbe individuato un numero maggiore di vulnerabilità con costi sensibilmente inferiori. Al di là dell’effetto sorpresa, questo dato apre riflessioni interessanti su come il ruolo umano possa evolvere, affiancandosi a strumenti sempre più avanzati anziché essere sostituito.
Una curiosità che emerge spesso parlando di pentesting è che molte falle sfruttabili non derivano da tecnologie particolarmente complesse, ma da configurazioni errate o da abitudini poco attente, come password deboli o servizi inutili lasciati attivi. Questo rende evidente quanto la sicurezza non sia solo una questione tecnica, ma anche culturale e organizzativa. Un consiglio pratico per le aziende è quello di considerare il pentesting non come un evento occasionale, ma come un processo periodico, utile a mantenere alta l’attenzione e ad adattarsi a un panorama di minacce in continua evoluzione.
In definitiva, il pentesting rappresenta uno strumento prezioso per capire davvero quanto un sistema sia resistente agli attacchi e per trasformare le vulnerabilità in opportunità di miglioramento. In un contesto in cui le tecnologie cambiano rapidamente e gli attacchi diventano sempre più sofisticati, investire in test realistici e consapevoli può fare la differenza tra una semplice precauzione e una vera strategia di sicurezza.
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