Pensioni 2026: verso nuovi equilibri tra rivalutazioni e flessibilità

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Per il 2026 si prevede, ripeto è una previsione da confermare, un adeguamento delle pensioni con un incremento medio stimato intorno all’1,7% per la fascia piena. Si tratta di un aggiornamento che comporterebbe per le casse pubbliche un impatto complessivo vicino ai cinque miliardi di euro. L’aumento, tuttavia, non sarà uniforme: le pensioni più alte potrebbero ricevere una rivalutazione parziale, mentre gli assegni fino a circa 2.400 euro lordi mensili dovrebbero beneficiare dell’indicizzazione completa. L’intento è quello di coniugare la tutela del potere d’acquisto con la sostenibilità dei conti pubblici.

Il governo valuta anche di rinviare l’incremento automatico dei requisiti legati all’aspettativa di vita, inizialmente previsto per il 2027. Tale misura avrebbe comportato un prolungamento di tre mesi dell’età pensionabile. L’obiettivo sarebbe mantenere una certa flessibilità per chi si avvicina al pensionamento, introducendo soluzioni che rendano il ritiro più gestibile e meno rigido. Tra le ipotesi, si discute la possibilità di uscita a 64 anni con almeno 25 anni di contributi, anche per chi rientra nel sistema misto, purché l’importo dell’assegno superi di tre volte la soglia dell’assegno sociale.

Un’altra proposta riguarda l’utilizzo del Trattamento di Fine Rapporto come forma di rendita integrativa, pensata per favorire un’uscita anticipata dal lavoro senza pesare eccessivamente sul bilancio pubblico. In parallelo, viene analizzata una possibile versione “flessibile” della Quota 41, che consentirebbe la pensione con 41 anni di contributi a partire dai 62 anni, prevedendo penalizzazioni più contenute o criteri legati all’ISEE per garantire maggiore equità.

La prossima legge di bilancio potrebbe includere anche un ritocco all’IRPEF per i pensionati, con la riduzione dal 35% al 33% dell’aliquota della seconda fascia (28.000-60.000 euro). Allo stesso tempo, la rivalutazione straordinaria delle pensioni minime potrebbe passare dall’attuale 2,2% all’1,5%, in un’ottica di contenimento della spesa.

Gli strumenti di flessibilità oggi in vigore, come Quota 103, potrebbero essere sostituiti da formule più sostenibili nel medio periodo, mentre restano invariati i requisiti standard per la pensione di vecchiaia: 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi.

Il sistema previdenziale si trova così in una fase di transizione, tesa a bilanciare giustizia sociale, sostenibilità finanziaria e libertà di scelta nel percorso lavorativo. Il vero nodo sarà trovare un equilibrio stabile che consenta di garantire sicurezza economica ai pensionati e al tempo stesso solidità al sistema nel lungo periodo.

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