Nietzsche e la verità nel processo giudiziario: una possibile interpretazione

Possiamo rileggere l’idea di Nietzsche nel contesto del mondo giudiziario contemporaneo come una critica diretta all’illusione che il processo produca “la verità”. Nel diritto moderno la verità giudiziaria viene presentata come il risultato oggettivo di prove, procedure e sentenze, ma da una prospettiva nietzschiana essa appare piuttosto come una costruzione istituzionale, non come la scoperta di un fatto puro.
Per Friedrich Nietzsche, applicato al diritto, il tribunale non è il luogo in cui emerge la verità, ma quello in cui una versione dei fatti diventa ufficiale. La sentenza non stabilisce “ciò che è veramente accaduto”, ma quale interpretazione viene riconosciuta come valida dallo Stato in un determinato momento storico. In questo senso la verità giudiziaria è simile alla verità filosofica: è una forma stabilizzata di interpretazione.
Dal punto di vista del prospettivismo, ogni processo è un conflitto tra narrazioni concorrenti. Accusa, difesa, testimoni, periti, giudici: ognuno porta una prospettiva, un punto di vista parziale e situato. Il processo non elimina le interpretazioni, le organizza secondo regole di potere e di procedura. La versione che vince non è necessariamente la più “vera” in senso assoluto, ma quella che meglio resiste nel sistema delle prove ammissibili, delle regole formali e delle strategie legali.
La volontà di potenza, tradotta nel linguaggio giuridico, diventa forza istituzionale. Le leggi, i codici e le sentenze non sono strumenti neutri, ma espressioni di rapporti di forza sociali, politici ed economici. Anche quando il diritto proclama imparzialità, secondo Nietzsche esso riflette sempre un certo ordine di valori: decide quali comportamenti sono legittimi, quali devianti, quali punibili. La “verità” che impone è dunque una verità normativa prima ancora che fattuale.
Inoltre, in ambito giudiziario la verità viene mediata dal linguaggio in modo ancora più evidente. Atti, verbali, perizie, testimonianze: la realtà entra nel processo solo come testo. Per Nietzsche il linguaggio non fotografa il mondo, lo trasforma. Nel diritto questo significa che i fatti diventano “fatti giuridici” solo quando sono tradotti in formule, categorie e definizioni. Ciò che non entra nel linguaggio del processo, semplicemente non esiste per il tribunale.
Riletta così, la filosofia di Nietzsche invita a una forma di sospetto radicale verso l’idea di giustizia come accesso alla verità assoluta. Non per distruggere il diritto, ma per renderlo più consapevole dei suoi limiti. Il rischio, se si crede troppo nella verità giudiziaria, è trasformare le sentenze in dogmi e i giudici in sacerdoti della verità. La prospettiva nietzschiana, invece, suggerisce di vedere il diritto come un sistema umano, storico, fragile, fatto di scelte, interpretazioni e potere, non come un oracolo infallibile.
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