Lavoro tra diritti, tutele e sostenibilità economica: un punto di vista

Nel dibattito contemporaneo sulla prevenzione e la sicurezza nei luoghi di lavoro, l’attenzione è spesso concentrata sulle responsabilità a posteriori: controlli, sanzioni, ispettorati e risarcimenti. Tuttavia, uno degli snodi più rilevanti e meno affrontati riguarda la fase embrionale della vita di un’impresa, ovvero il momento in cui si progettano gli spazi, si installano impianti e si definisce l’organizzazione operativa. È in questa fase che si gioca la partita più importante in termini di sicurezza, ed è proprio qui che lo Stato dovrebbe iniziare a intervenire con strumenti economici incisivi, affiancando l'azione normativa.
L’obbligo di redigere il Documento di Valutazione dei Rischi prima dell’avvio dell’attività, sebbene fondamentale, spesso non è sufficiente, specialmente per le micro e piccole imprese o per chi si affaccia per la prima volta sul mercato. In queste realtà, il rispetto formale della legge rischia di scontrarsi con risorse limitate, conoscenze specifiche carenti e priorità gestionali focalizzate sulla sopravvivenza economica immediata. In questo contesto, la sicurezza viene percepita come un costo differibile. Lo Stato, al contrario, potrebbe ribaltare questa prospettiva offrendo un sostegno economico strutturale, attraverso fondi pubblici a fondo perduto, crediti d’imposta, finanziamenti agevolati o garanzie statali per l'accesso al credito finalizzato all'adeguamento degli ambienti di lavoro già in fase progettuale.
L’ipotesi di un investimento collettivo preventivo non rappresenta solamente un imperativo etico, ma una strategia lungimirante per la riduzione significativa dei costi sociali ed economici derivanti dagli infortuni. Ogni incidente sul lavoro genera ripercussioni dirette sulla spesa sanitaria, sul sistema previdenziale, sulla produttività aziendale e sul benessere generale della collettività. Anticipare l’investimento in sicurezza con misure di sostegno economico rappresenta una forma di assicurazione pubblica ex ante, con un ritorno tangibile in termini di efficienza del sistema Paese.
Un modello di questo tipo non nasce da un vuoto normativo o esperienziale: iniziative già operative a livello nazionale e regionale, come i bandi INAIL, dimostrano chiaramente come l’interesse e l’impegno per la sicurezza crescano in maniera proporzionale al supporto concreto offerto dalle istituzioni. Estendere queste logiche virtuose alla fase di avvio delle attività imprenditoriali renderebbe più equo l’accesso al mercato, premiando le imprese che integrano la sicurezza nel loro DNA fin dalla nascita e scoraggiando quelle scorciatoie pericolose che, purtroppo, persistono in particolare nei settori caratterizzati da alta intensità di lavoro e bassa capitalizzazione. In questo contesto, anche le Regioni potrebbero svolgere un ruolo cruciale attraverso bandi specifici e sinergie con le politiche nazionali.
Investire sulla sicurezza in fase preventiva significa, inoltre, promuovere una cultura economica più avanzata e responsabile. Significa concepire il lavoro non come una semplice merce, ma come un elemento strutturale della qualità intrinseca di un’impresa e della sua affidabilità sul mercato. In un panorama economico in cui i criteri ESG (Environmental, Social, and Governance) e la reputazione etica assumono un’importanza crescente per attrarre investitori e clienti, un’azienda che nasce su fondamenta sicure si configura come un soggetto finanziariamente più solido e attrattivo. Lo Stato ha quindi un interesse primario nel promuovere attivamente queste condizioni, non per sostituirsi all’imprenditore, ma per coltivare un ecosistema in cui sicurezza e sviluppo economico non siano mai in antitesi, favorendo al contempo l'adozione di soluzioni tecnologiche innovative nel campo della sicurezza.