La “stanza dell’affettività” nel carcere di Torino: un passo verso il diritto all’intimità

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Nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino, entro la fine di ottobre, verrà inaugurata la prima “stanza dell’affettività” in un grande istituto penitenziario italiano. È una sala concepita per consentire ai detenuti di avere incontri intimi con il proprio partner in condizioni più dignitose e meno rigidamente regolamentate rispetto al solito colloquio carcerario.

Lo spazio, ricavato nel padiglione “E” della sezione ormai denominata “Arcobaleno”, è di circa quindici metri quadrati ed è arredato in modo essenziale: un letto, un bagno e una doccia costituiscono l’equipaggiamento minimo per un ambiente che vuole rassomigliare più a una camera privata che a uno spazio rigidamente carcerario.

Ogni incontro sarà della durata di una o due ore, e potranno esserne concessi fino a tre al giorno, previo ordine interno e valutazione di sicurezza. Prima di ogni incontro la stanza verrà “bonificata” dal personale penitenziario per verifiche, e al termine del colloquio il detenuto sarà perquisito. Il partner non subirà la perquisizione. Potranno richiederla i detenuti del distretto Piemonte-Valle d’Aosta, con alcune esclusioni (coloro che si trovano al regime del 41-bis o che hanno causato disordine interno).

La scelta nasce anche a seguito di una pronuncia recente della Corte costituzionale, che ha riconosciuto che il diritto all’affettività non può essere trattato come una mera aspettativa priva di protezione. Dinanzi a un’istanza di incontro in intimità, lo Stato può limitare le modalità solo per ragioni di ordine, sicurezza o procedimenti giudiziari in corso.

La proposta non è priva di polemiche. I sindacati della polizia penitenziaria hanno reagito con durezza, denunciando che si tratterebbe di “rompere l’ultimo tabù” nel carcere, e di trasformare celle in “alcove matrimoniali”. C’è chi sostiene che si privilegerebbe un diritto affettivo a scapito della sicurezza e che l’amministrazione penitenziaria dovrebbe prima concentrarsi su problemi come il controllo di droghe, armi clandestine e la tutela del personale.

D’altro lato, giuristi e associazioni per i diritti umani accolgono la novità come un adeguamento necessario a un sistema carcerario che deve contemperare sicurezza e umanità. L’introduzione della stanza dell’affettività è vista come un riconoscimento concreto che la pena non può annullare del tutto i legami familiari, che spesso sono una leva essenziale per il reinserimento.

L’idea che l’intimità e i rapporti affettivi possano avere un ruolo anche nel percorso carcerario non è priva di complessità: la gestione organizzativa, la sorveglianza, la logistica, la responsabilità del personale sono elementi che richiedono attenzione e non poche cautele. È inevitabile che restino interrogativi su come questa pratica si integrerà con la realtà quotidiana del carcere, con la sicurezza del personale e con le strutture esistenti.

In ogni caso, la “stanza dell’affettività” torinese segna un momento simbolico: introduce una dimensione che finora è rimasta ampiamente marginale nei regolamenti penitenziari, e costringe la riflessione su quale equilibrio sia possibile tra esigenze del carcere e diritti fondamentali della persona.

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