Iran e cultura: un’arma sociale e politica

In Iran, negli ultimi mesi, la cultura non è più solo spettacoli o arte: è diventata un vero strumento politico e sociale. Non è raro vedere concerti tra le rovine di Persepolis, performance di strada o eventi che celebrano la grandezza della Persia antica. Dopo anni in cui questo patrimonio veniva messo in secondo piano, oggi le autorità sembrano aver capito che la cultura può servire a rafforzare l’identità nazionale e a riconnettersi con una popolazione stanca di crisi economiche e tensioni interne.
Si nota una maggiore apertura a forme artistiche più libere, come la musica in spazi pubblici o manifestazioni popolari tollerate con meno rigidità. La rivalutazione dell’eredità pre-islamica, un tempo guardata con diffidenza, ora diventa un modo per stimolare orgoglio e senso di appartenenza. È una sorta di “soft power casalingo”: un modo per distrarre dai problemi quotidiani come inflazione, sanzioni e precarietà.
Naturalmente, non mancano i limiti. Alcuni eventi vengono cancellati all’improvviso, segno che la libertà concessa resta fragile e legata a calcoli politici. Restano poi regole rigide, soprattutto sul ruolo delle donne e sull’autonomia degli artisti. In pratica, la cultura viene usata come valvola di sfogo controllata, più che come vero cambiamento sociale.
Eppure, questa esperienza dice una cosa chiara: la cultura ha un potere enorme. Sa evocare memorie comuni, creare momenti di condivisione e generare un senso di identità che il potere politico cerca di incanalare. Ma se la popolazione percepisce queste aperture come pura propaganda, il rischio è che l’effetto si trasformi in boomerang. In un Paese dove i giovani chiedono più libertà e meno restrizioni, la cultura può diventare un ponte verso il futuro… o il terreno di nuove tensioni.
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