Il ruolo della centrale marginale e il dibattito sul disaccoppiamento del prezzo del gas

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Nel mercato elettrico europeo il prezzo dell’energia non è una media dei costi di produzione, ma viene stabilito dalla cosiddetta centrale marginale. Con questa espressione si indica l’ultima centrale che viene chiamata a produrre per soddisfare la domanda di elettricità in un determinato momento. Poiché la rete deve coprire sempre l’intero fabbisogno, il prezzo finale viene fissato al costo della fonte marginale, che di solito è il gas, più costoso rispetto alle rinnovabili o al carbone.

Un esempio aiuta a capire meglio: se in un’ora di forte richiesta servono energia da rinnovabili a 50 euro per megawattora, da carbone a 90 e da gas a 150, la centrale a gas – essendo l’ultima necessaria a coprire la domanda – diventa la centrale marginale. Di conseguenza, il prezzo per tutti i produttori e per tutti gli acquirenti sarà 150, anche se gran parte dell’energia è stata generata a costi molto più bassi.

Questo meccanismo, detto “marginal pricing”, serve a garantire che l’elettricità sia sempre disponibile e offre ai produttori un incentivo a investire. Tuttavia espone i consumatori alla volatilità del gas, che spesso non riflette il reale mix energetico.

È qui che nasce l’idea del disaccoppiamento: separare il prezzo del gas da quello dell’elettricità, così da pagare l’energia in base alla fonte di produzione. In questo modo il peso del gas, usato come centrale marginale, non trascinerebbe verso l’alto l’intero mercato. Un esempio pratico è l’esperimento iberico: Spagna e Portogallo hanno ottenuto una deroga dall’Unione europea per introdurre un tetto al prezzo del gas usato nelle centrali, riducendo sensibilmente le bollette.

Il tema resta al centro del dibattito europeo: da una parte c’è la necessità di proteggere famiglie e imprese da picchi eccessivi, dall’altra l’esigenza di mantenere regole comuni nel mercato unico dell’energia.

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