Fiscal drag: come l’inflazione può far aumentare le tasse pur restando invariate le aliquote

Quando sentiamo parlare di aumenti di stipendio o di adeguamenti al costo della vita, spesso pensiamo che si tratti di un miglioramento per chi lavora. Tuttavia, esiste un meccanismo meno visibile ma decisamente impattante, chiamato fiscal drag, che può trasformare quella sensazione in una sorpresa amara: avere uno stipendio nominalmente più alto ma essere effettivamente più poveri.
Il fiscal drag (o drenaggio fiscale) nasce in un sistema in cui l’imposta sul reddito è progressiva: ossia, più alto è il reddito, maggiore è l’aliquota applicata. Se il reddito di una persona aumenta solo per compensare l’inflazione, e le soglie di reddito alle quali cambiano le aliquote non vengono rivalutate di pari passo, quella persona può finire nel segmento successivo di tassazione anche se, in termini reali, non ha guadagnato nulla. In sostanza, paga di più pur non avendo più potere d’acquisto. Nel contesto italiano questa dinamica è stata segnalata da più studi come un elemento che aggrava il prelievo fiscale sui redditi da lavoro dipendente.
Il risultato è duplice: da un lato lo Stato beneficia di entrate maggiori senza dover aumentare formalmente le aliquote; dall’altro i contribuenti subiscono una riduzione del reddito disponibile, con possibili ricadute sui consumi e sulla crescita economica. Non è solo una questione tecnica di conti pubblici ma una questione che tocca il benessere quotidiano delle famiglie.
Per fronteggiare il fenomeno, la politica ha alcune leve: aggiornare le soglie fiscali e le detrazioni in linea con l’inflazione, semplificare e rendere più trasparente il sistema fiscale, oppure intervenire direttamente sul reddito disponibile – ma ciò richiede scelte chiare e costi di governance non trascurabili.
In definitiva, il fiscal drag ci ricorda che un aumento nominale del reddito non è sempre sinonimo di miglioramento reale, e che il modo in cui è impostato il sistema fiscale può influenzare in modo decisivo quel che resta davvero “in tasca”.
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