Brute force, credential stuffing e dictionary attack: capire le tecniche e difendersi

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Quando si parla di attacchi alle credenziali, è utile smontare subito il mito della magia informatica: brute force, credential stuffing e dictionary attack non sono incantesimi ma processi ripetuti, metodici e sempre più automatizzati. Il brute force è l’esempio più evidente: macchine o bot provano combinazioni di caratteri una dopo l’altra fino a trovare quella giusta. Non “rompe” gli algoritmi crittografici robusti, sfrutta invece la quantità di tentativi e la prevedibilità umana nella creazione delle password.

A fianco del brute force puro esistono varianti più intelligenti e spesso più efficaci. Il dictionary attack non tenta tutte le combinazioni possibili, ma si concentra su parole e sequenze già esistenti nel linguaggio naturale: nomi, termini comuni, frasi letterarie trasformate in password. Il credential stuffing parte invece da qualcosa di concreto: elenchi di credenziali trapelate da violazioni precedenti. Poiché molte persone riutilizzano username e password su più servizi, un set di credenziali rubate su un sito può dare accesso immediato ad altri account della stessa vittima. Questo è uno dei motivi per cui le violazioni di dati lontane nel tempo continuano a creare problemi anche anni dopo.

Il fattore tempo è centrale per comprendere la reale efficacia di queste tecniche. Con password corte e prevedibili, un attacco ben orchestrato può avere successo in pochi secondi o minuti; con password lunghe e uniche, lo stesso attacco può richiedere tempi così lunghi da renderlo impraticabile. Per questo la lunghezza della password spesso pesa più della sola complessità: aumentare il numero di caratteri moltiplica il numero di combinazioni possibili e allunga esponenzialmente il tempo necessario per indovinare la parola.

Oggi gli attaccanti non si accontentano di tentativi casuali. L’automazione e, in alcuni casi, l’uso di algoritmi di machine learning consentono di ordinare i tentativi in base a probabilità calcolate, combinare dizionari reali con varianti comuni (sostituzioni di lettere, aggiunta di numeri, suffissi) e parallelizzare i tentativi su vastissime botnet. Questo rende gli attacchi più rapidi e mirati: non più “provo tutto”, ma “provo prima ciò che ha maggiori probabilità di funzionare”.

Chi viene colpito più spesso? Gli account più preziosi per gli aggressori sono quelli che permettono di recuperare dati sensibili o resettare altri accessi: email, servizi bancari, piattaforme di e-commerce e social network. L’accesso a un’email compromessa, ad esempio, può essere la chiave per reimpostare password su altri siti. Per questo le difese devono essere calibrate sia sul lato utente che sul lato server.

Dal lato utente, la strategia è semplice e potente: password lunghe e uniche per ogni servizio, gestite preferibilmente con un password manager, e l’attivazione dell’autenticazione a più fattori (MFA). L’MFA trasforma la password in solo uno degli elementi richiesti per l’accesso, rendendo vani molti tentativi automatici anche quando la password è stata indovinata. Usare metodi secondari resistenti al phishing, come app di autenticazione o chiavi hardware, aumenta ulteriormente la sicurezza rispetto agli SMS.

Dal lato server e infrastrutturale, le contromisure si articolano in più livelli: rate limiting per rallentare o bloccare flussi massivi di tentativi, lockout temporanei dopo ripetuti fallimenti, challenge come CAPTCHA per distinguere bot da persone, e monitoraggio delle anomalie che segnali accessi da paesi inconsueti o pattern sospetti. Un’altra pratica fondamentale è l’hashing e il salting delle password memorizzate: anche se un database aziendale viene rubato, una corretta gestione delle password rende molto più difficile per un attaccante risalire alle credenziali originali.

Infine, la consapevolezza e la resilienza organizzativa contano quanto gli strumenti tecnici. Aggiornare regolarmente le policy di sicurezza, effettuare controlli su credenziali compromesse (ad esempio tramite servizi che segnalano leak pubblici), educare gli utenti a non riutilizzare password e a riconoscere tentativi di phishing sono azioni che riducono significativamente il rischio. La sicurezza non è un singolo prodotto, ma una somma di pratiche semplici e complementari: password robuste e uniche, MFA, limitazioni sui tentativi, monitoraggio e crittografia delle password.

Capire come funzionano il brute force, il dictionary attack e il credential stuffing aiuta a vedere che la prima linea di difesa non è la speranza, ma la pratica: applicare le contromisure che rallentano, complicano e, spesso, annullano l’efficacia degli attacchi. In questo gioco di quantità e probabilità, la migliore strategia è rendere la vittoria per l’attaccante così costosa in termini di tempo e risorse da non valerne più la pena.

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